Filtro Instagram lo-fi su schermata sito Instagram, Milano 2012, ©Instagram
Stamattina il mio primo pensiero è stato tipo: "oh cazzo, quindi mo' che faccio con Instagram?!!". Quando sentirò la mia fidanzata e mi chiederà se, come tutte le mattine, il mio primo pensiero della giornata sia stato dedicato a lei le risponderò, ovviamente, di si. Piuttosto preoccupante in effetti.
Quando, un paio di giorni fa', sulla schermata di Instagram, è comparsa la notifica con i nuovi "termini e condizioni" ho fatto finta di ignorare che si fosse giunti a un punto di svolta. Ieri mattina ho provato a cancellare una fotografia caricata, ma che non mi soddisfava particolarmente, vedendomi impossibilitato a eliminarla perchè "per poter eliminare la foto occorre aggiornare il programma" e per farlo è obbligatorio accettare le nuove regole. Acceso il calcolatore di ultima generazione ho appreso del terremoto che stava vivendo la rete a causa della scelta dell'app. di aggiornare i parametri di relazione tra essa e gli ormai milioni di utenti raggiunti. In termini più o meno catastrofici, vari giornalisti, o opinionisti, o gente che ha condiviso articoli senza leggerli, ma colpita dal titolo, segnalavano che, a partire dal 16 di gennaio 2013, Instagram avrebbe potuto vendere le fotografie (e le informazioni degli account pubblici) alle aziende loro collegate.
Alcune delle trattazioni prospettavano, per IG, un futuro da agenzia fotografica globale che si sarebbe servita di una valanga di fotografi più o meno ignari di lavorare gratis per una società da 1 miliardo di dollari (valore di acquisizione di Instagram da parte di Facebook). Effettivamente una notizia pazzesca verso la quale mi è scattata subito la più grossa delle indignazioni e la conseguente decisione di opporsi a un diktat simile. Se possiamo definire delusione la sensazione prodotta da un software nei confronti di un candido essere umano allora c'è veramente qualcosa che non va'.
Le cose possono essere messe a posto se l'essere umano in questione comincia a farsi delle domande per capire la situazione e decidere il da farsi. Se questo esemplare della pura umanità vive scattando fotografie è, diciamo così, obbligato a farsi un'idea il più possibile chiara, non tanto, giunti a questo punto, riguardo l'intenzione manifesta e quella mascherata di una società che lo ha fatto divertire un mondo a scattare-modificare-condividere le sue foto, ma nei confronti della sua posizione all'interno di quel gioco che modifica le sue regole durante la partita e ti obbliga a ritirarti se non gli consenti di disporre come gli pare delle immagini che hai prodotto. "la palla è mia quindi questo è un calcio di rigore, ecco".
Avvantaggiato dalla disponibilità, in termini temporali, all'elaborazione di pensieri filosofici più o meno utili, l'immacolato fotografo che sono si è domandato se, indipendentemente da tutto, non fosse giunto il momento di cagarsi un po' meno Instagram e scattare un po' più fotografie non generate dalla smania di mostrarle al mondo in tempo reale.
La paura che Instagram avesse espresso il desiderio di impadronirsi delle mie immagini per conquistare il mondo era diventato un aspetto marginale. Si trattava, piuttosto, di compiere un atto soffertissimo, ma che avrebbe provato a me stesso (e magari suscitato domande negli altri) di essere ancora padrone delle mie scelte, non solo delle mie foto.
A tal proposito ho letto ripetutamente che Instagram diventerebbe proprietario delle fotografie ecc... Il concetto può essere simile, ma per chiarezza, e lo scrive anche il co-fondatore di IG, Kevin Systrom, dopo la bufera che ha travolto lui e la sua società nella giornata di ieri, le foto rimangono di proprietà dell'autore. Anche il diritto di paternità delle immagini, che per legge non può essere disgiunto dall'autore delle stesse, rimane esterno dalle rivendicazioni dell'app. Che gli frega di possedere una foto? Basta arrogarsi il diritto di lucrare su di esse. Il fotografo potrebbe comunque prendere una data immagine da lui scattata e venderla all'azienda X. Loro dicono suppergiù così: "Se accetti di pubblicare le tue foto (come le tue informazioni personali) sulla nostra piattaforma, noi possiamo, legittimamente, utilizzarle come ci pare". Potrebbero utilizzarle all'interno del mondo del loro social network (che ha comunque raggiunto dimensioni globali ed è tutt'uno con il colosso di Mark Zuckelberg) e per esercitare tutte le attività che ritengono necessarie ai fini anche di marketing. Si, perchè Instagram è nata come società per generare business e lo ha detto sin da subito. E ci mancherebbe altro, tutti devono portare a casa la pagnotta. E' la caduta di stile che scoccia.
Che nessuno ti regali niente e che il diritto di Instagram di generare profitto attraverso la sua attività sia cosa sacrosanta non impedisce, a chi vuole analizzare la situazione dal suo punto di vista, di trovare particolarmente poco carino che milioni di persone, felici e contente per la possibilità di giocare e divertirsi con un così bello strumento, vengano attirate in questo mega paese dei balocchi, fatte sfogare per un po' e poi risvegliate da un avviso che li informa che qualcosa cambierà, ma che, nell'aggiornamento c'è un filtro nuovo e la grafica è più figa. 1/100 di quelli che usano Instagram, e ne apprezzano le funzioni, assumerà un atteggiamento critico e magari 1/1000 cancelleranno il loro account (unico modo attraverso cui scongiurerebbero questa possibilità di diventare potenziali produttori di contenuti commerciabili gratuitamente). Quelli che possono essere calcolati come una perdita fisiologica prevedibile (sacrificabile in favore dell'enorme vantaggio portato dalla nuova politica).
A differenza di Facebook, dove posso scrivere scemenze, condividere link, farmi 2 risate, rimanere in contatto con persone dai 4 angoli del pianeta, e guardare le foto delle mie amiche (e delle loro amiche) in micro costume d'estate, Instagram perde il suo interesse senza le fotografie. Semplicemente non ha più senso.
Si evince dunque che la merce su cui Instagram intenderebbe lucrare è proprio quella prodotta dagli utenti e presente a milioni (immagini belle e brutte di ogni cosa) negli archivi del social media. Merce pronta per essere saccheggiata entro un mese, complice, da parte degli utenti, il disinteresse verso le conseguenze o la preminente necessità di continuare a imperversare con questo diabolico marchingenio. L'autore di tale merce metterebbe quindi a disposizione di aziende private la sua proprietà intellettuale (e i suoi dati) senza poter avere voce in capitolo (e senza sapere a beneficio di quale brand o ente questa merce vada a finire!!!).
Si evince dunque che la merce su cui Instagram intenderebbe lucrare è proprio quella prodotta dagli utenti e presente a milioni (immagini belle e brutte di ogni cosa) negli archivi del social media. Merce pronta per essere saccheggiata entro un mese, complice, da parte degli utenti, il disinteresse verso le conseguenze o la preminente necessità di continuare a imperversare con questo diabolico marchingenio. L'autore di tale merce metterebbe quindi a disposizione di aziende private la sua proprietà intellettuale (e i suoi dati) senza poter avere voce in capitolo (e senza sapere a beneficio di quale brand o ente questa merce vada a finire!!!).
Poco importa, a mio avviso, che non si tratterebbe di campagne pubblicitarie o cataloghi. Non ancora almeno. Oltretutto si dice nei vari commenti che le dimensioni del file-foto siano inadatte a una stampa sfruttabile in termini commerciali dalle aziende. Penisamo a chi avrebbe mai pensato, 3 anni fa, di poter scattare immagini con un telefonino e poterne ricavare un prodotto di qualità così elevata? Poco importa anche che, ad ora, l'utilizzo paventato delle foto possa essere sfruttato entro i limiti di influenza di Facebook-Instagram perchè con queste premesse, usando un francesismo... ti giri un attimo e zac!
Avrei preferito pagare 1$ l'app. Qualcuno convinto che tutto debba essere gratis si sarebbe lamentato, ma io li avrei sborsati volentieri. Anche 2$, toh 3$, roviniamoci.