© MiLo Sciaky per il blog "Architoast", 2012
Adesso
è diventato chiaro più o meno a tutti: i fotografi sono una categoria
tremendamente flagellata. Flagellata dall’avvento del digitale, flagellata dai
giornali cattivi, da internet, dall’app del divaolo (instagram), ma anche da
eventi macroeconomici quali la crisi di Wall Street e micro (economici) come il
sushi a 10 euro. Senza dimenticarci del flagello più grande del 21° secolo:
“The Apprentice”. Il talent show di Flavio Briatore. Diventa
quindi indispensabile fornire un’analisi accurata della situazione, cominciando
con lo svelare un segreto: la fotografia gode di ottima salute solo che si è
rotta i maroni di manifestarsi nei soliti posti e così ha deciso di giocare a
nascondino per un po’.
I
fotografi hanno così dovuto ingegnarsi per continuare ad esistere. La
fotografia non è morta. Nient’affatto. Se ci fate ben caso è ovunque. E’
ovunque perché ci sono delle persone che scattano quelle immagini. Adesso le
scattando con telefonini, con le macchine compatte che vanno a 10 metri sott’acqua
e che girano filmati in fullHD, ma la produzione non si è mai fermata, è
quintuplicata. Che dico, decuplicata e continuerà ad aumentare in maniera esponenziale.
Che
cosa è cambiato quindi? Perché l’atteggiamento degli operatori del settore è
così negativo? Sono dei matti maniaci di vittimismo? No. La fotografia permea
le nostre vite, ma essa non è più percepita come un prodotto realizzabile
esclusivamente dai professionisti, cui ci si rivolge solo per esigenze
specifiche e mal volentieri (fatti salvi rari e virtuosi casi). Lo strato più
apatico della società manco riesce a concepire che le fotografie possano essere il frutto
dello studio, dell’ingegno, dell’investimento, della cultura e della sensibilità di un fotografo. A causa della
sempre minor valorizzazione della fotografia sono portati a pensare che una
volta realizzata, essa, diventi automaticamente patrimonio pubblico e gratuito.
Lo pensano i medici che si fanno pagar fior di parcelle per farci fare 2 colpi
di tosse; i meccanici che tanto avvitare 2 bulloni sarà mica questa gran fatica; lo
pensano gli ingegneri che in fin dei conti i palazzi li costruivano più alti quando c’era
la torre di Babele e c’è poco da fare i gradassi.
La
foto, infatti, non è un bene primario e non ha poteri curativi. Non si mangia e
non ci si conquistano le ragazze, quindi, se percepito come una voce di taglio nella spesa e nel consumo, il suo bisogno diminuirà sempre più
fino a diventare superfluo. Il mercato più saturo di tutti.
Questa
perdita di autorevolezza e considerazione non è derivata da un processo repentino: il mercato aveva
cominciato a dare segnali poco rassicuranti già tanto tempo prima, ma citando il film
“La Haine” diretto da Mathieu Kassovitz, era come se la fotografia stesse cadendo dalla sommità di un
grattacielo e si ripetesse, di continuo, senza che nessuno fosse in grado di sentirla, “fino
a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene”. Ma il problema non era la caduta. Era l’atterraggio visto come l’assunzione di coscienza dei fotografi nei confronti di una
professione, la loro, che così come avevano imparato a conoscerla e ad amarla, non sarebbe
più stata la stessa.
Molti
di questi spiriti liberi e creativi sono riusciti a reagire e a rimescolare le loro
carte sul tavolo da gioco. Hanno cominciato a prendere confidenza con i
nuovi media e a utilizzarli nelle attività legate al loro lavoro: se c’erano i
disinvolti (anche all’interno dei giornali stessi che rappresentavano, fino ad allora,
il loro interlocutore storico e primario) i quali raccoglievano fotografie da
Facebook come fossero centesimini smarriti sul marciapiede, loro provavano a
diventare amici dei il social media e ad ampliarne gli utilizzi. Sono
diventati da soli efficienti uffici stampa, di comunicazione, marketing e anche
maghi della post produzione, grazie all’infinità di video tutorial (free) che
si trovano sul web. Alcuni con più tempo libero a disposizione si sono messi a
scrivere cose di dubbia necessità sui blog, mentre altri si sono organizzati in
maniera strutturata dando vita a una moltitudine di magazine online cui non
avrebbero mai potuto dar vita usando i canali tradizionali, a meno di non
chiamarsi Berlusconi o De Benedetti o Murdoch.
Questi
nuovi prodotti umani della comunicazione visiva hanno affinato nuove capacità e sviluppando
quelle già esistenti, che fino a quel momento erano rimaste inutilizzate. Si
sono insomma trasformati in Tras-fotografi, qualcosa di più, o Super-fotografi. Solo che
guadagnavano meno. Comprensibile. Per ogni Tras e Super qualcosa i primi tempi sono molto duri e
pieni di incertezze.
E' così che in una fucina creativa dal vago fermento imprenditoriale (con buona pace di coloro
che ideologicamente ne rifuggivano la definizione) sono nate piattaforme di condivisione
e vendita per professionisti o amatori evoluti. Dei veri e propri archivi
online globali come Photoshelter capace di attirare un'infinità di
professionisti che hanno scelto di diventare freelance, che ha allargato la sua offerta di servizi
addirittura organizzando workshop online in grado di mettere insieme utenti dai 4 angoli
del pianeta.
O ancora siti di crowdfounding come Kisskissbankbank, attraverso cui raccogliere finanziamenti con lo scopo di realizzare i propri progetti fotografici diventati sempre più costosi e dal difficilissimo ritorno economico.
E poi c’è il Microstock. Corrente di pensiero verso cui, specie ultimamente, vari colleghi si sono convertiti. Piattaforme come Shutterstock, ad esempio, offrono ai loro clienti immagini royalties free, e rendono possibile per un fotografo (amatore evoluto o professionista) contribuire all'alimentazione di un magazzino di milioni di immagini con decine, centinaia, migliaia di fotografie degli argomenti più vari tipo catena di montaggio, ma senza subirsi redazioni con pretese, clienti con pretese, e il cartellino da timbrare. Gli interlocutori per questo sistema di lavoro sono tutti o nessuno, quindi, senza una committenza precisa è diventato possibile alzarsi la mattina e decidere di uscire per strada e fotografare per 2 ore solo tubi di scappamento di macchine rosse oppure foglie di alberi da vicino.
O ancora siti di crowdfounding come Kisskissbankbank, attraverso cui raccogliere finanziamenti con lo scopo di realizzare i propri progetti fotografici diventati sempre più costosi e dal difficilissimo ritorno economico.
E poi c’è il Microstock. Corrente di pensiero verso cui, specie ultimamente, vari colleghi si sono convertiti. Piattaforme come Shutterstock, ad esempio, offrono ai loro clienti immagini royalties free, e rendono possibile per un fotografo (amatore evoluto o professionista) contribuire all'alimentazione di un magazzino di milioni di immagini con decine, centinaia, migliaia di fotografie degli argomenti più vari tipo catena di montaggio, ma senza subirsi redazioni con pretese, clienti con pretese, e il cartellino da timbrare. Gli interlocutori per questo sistema di lavoro sono tutti o nessuno, quindi, senza una committenza precisa è diventato possibile alzarsi la mattina e decidere di uscire per strada e fotografare per 2 ore solo tubi di scappamento di macchine rosse oppure foglie di alberi da vicino.
La
morale? C’è un mondo là fuori che aspetta solo voi! In verità non aspetta
proprio per nulla quindi sarà il caso di muoversi!
Uno di questi nuovi e intrepidi protagonisti dell'era della condivisione si chiama Eugenio. Eugenio è un fotografo che stà cercando di crearsi uno spazio. Metaforico e reale (click qui)
Auguriamo a Eugenio "in bocca al lupo". Invito quindi tutti gli altri colleghi con un progetto interessante a commentare questo post per farsi un po' di pubblicità! Orsù!
Uno di questi nuovi e intrepidi protagonisti dell'era della condivisione si chiama Eugenio. Eugenio è un fotografo che stà cercando di crearsi uno spazio. Metaforico e reale (click qui)
Auguriamo a Eugenio "in bocca al lupo". Invito quindi tutti gli altri colleghi con un progetto interessante a commentare questo post per farsi un po' di pubblicità! Orsù!
Io sono d'accordo su tutta la linea, i nuovi strumenti sono un'opportunità e non credo abbia senso rifiutare ogni sorta di contaminazione in nome di un immaginario "epico" legato alla fotografia. Sono fermamente convinta che la fotografia si giochi sui contenuti e non sul contenitore, che l'aumento dell'offerta non dovrebbe spaventare ma spingere invece alla contaminazione e alla crescita. Per quanto la tecnica possa essere imitata, non credo che nessun fotografo potrà mai rubare lo sguardo di un altro. E' bello vedere che ci sono dei professionisti che non hanno paura di mettersi in gioco, di accettare una sfida, di ragionare e di esprimere delle opinioni "fuori dal coro" ^_^
RispondiEliminaOlè! Non sarà certo semplice, ma non credo siano mai esistite regole che che si proponessero di garantire il fotografo (e la cosa vale anche per altre professioni) dall'eventualità che il suo ambiente subisse dei cambiamenti. Posso capire che lo shock sia stato difficile da metabolizzare per coloro i quali si innamorarono della fotografia con le immagini di Cartier-Bresson e compagni fiammeggianti negli occhi, mi ci butto dentro, ma la fotografia come mezzo di espressione e comunicazione ha bisogno di un interlocutore e non è possibile pretendere che esso rimanga conforme ai nostri bisogni lavorativi e ai nostri tempi. Forse è un tantino presuntuoso addirittura.
EliminaQuella che viene percepita come una chiusura è molto più verosimilmente una situazione mutevole che, dal modo in cui si manifesta. è come se ci stesse avvisando che per sopravvivere sia indispensabile non solo assecondare i tempi, ma precederli!
Non deve essere facile e non sto scrivendo dal palazzo del Sultano dei Brunei, ma si, vedo tante possibilità davanti a noi.
Spunto molto interessante caro Milo, ci sarebbe molto da dire. Sintetizzo: soprattutto nel mercato Italiano (per la mia esperienza) si tende a far passare l'idea che l'agenzia "di stock" o "microstock" sia qualcosa dedicato al desiderio del fotoamatore di guadagnare 30cent pubblicando la foto di un tramonto scattata al mare. In realtà queste agenzie lavorano a tutti gli effetti distribuendo contenuti di qualità elevata (professionale) prodotti da fotografi professionisti. E' chiaro che può capitare che esista materiale di minor qualità, che ci piace tanto definire fotoamatoriale per dire che vale di meno. Ma sono casi piuttosto rari, e comunque che non riguardano chi svolge questa 'attività a scopo professionale. Del resto, se il fotoamatore fa una "brutta" foto e riesce a venderla per 30cent, non sarà che ha sbagliato qualcosa chi gliela ha comprata? Spezzo inoltre una lancia (anche un braccio se vuoi :-) una volta per tutte sul tipo di lavoro svolto da queste agenzie nella verifica dei contenuti che distribuiscono e nella modalità con cui li selezionano. Non è per nulla vero che chiunque possa vendere qualunque cosa. Se non si hanno già contatti diretti presso queste agenzie, basta un rapido giro in rete per capire che ci lavorano professionisti (spesso fotografi) con cv di tutto rispetto, tanto quanto chi lavora nelle altre agenzie con la a maiuscola. Sono pronto a qualunque altra domanda, vostro onore.
RispondiEliminaAhah, si sieda imputato che se no butto le chiavi della sua cella nella villa di Arcore!
RispondiEliminaQuello che hai detto è esattamente il punto su cui verteva la mia trattazione riferita appunto al modo in cui i professionisti si siano reinventati trovando situazioni tra le più varie per collocare la loro produzione come le agenzie di stock appunto. La dissertazione aveva un'intenzione elogiativa. Non contemplava l'amatore se non definendolo nella sua fase più consapevole, e cioè "evoluto" accostandolo proprio ai professionisti. Non ho parlato di portali tipo Flickr che invece sono destinati prevalentemente all'amatore. Qui non di discuteva il merito dell'esclusiva alla produzione da parte di qualcuno, ma si benediceva l'aspetto plurale che ha permesso a tante persone di continuare a guadagnare con il loro lavoro e ad altre di avvicinarsi (come te) al mestiere che desideravano fare, ma che per la chiusura di certe barriere sembrava dover essere destinato solo a pochi eletti.
Rovescio della medaglia è poi la completa apertura alla creazione di notizie da parte di operatori non autorizzati a trattarne perchè non soggetti a controlli o sanzioni disciplinari da parte di specifici e legittimi organisimi professionali. Basta prendere come esempio gli illustri casi di foto-notizie false proposte in questi giorni di conflitto Israelo-Palestinese cui ho accennato in fondo allo scorso post:
esempio 1. Il giornalista della BBC retweetta la foto artefatta di uno pseudo giornalista/attivista (già un controsenso in termini) palestinese che mostrava una scena drammatica sostenendo si trattasse di Gaza, ma che era di eventi siriani. Scoppia una baraonda e dalla rete si invoca a gran voce il suo licenziamento.
esempio 2. Altre foto smascherate sempre sullo stesso argomento, ma verso cui nessuno sa o può puntare il dito. Foto-notizie riprese anche da organi di informazione.
In soldoni io considero fotografi professionisti coloro i quali guadagnino (o ci provino) scattando fotografie e svolgendo attività ad esse affini pagando le tasse relative.
Non mi curo di quelli che svolgono un altro mestiere, ma che abbiano la pretesa di scattare un bel tramonto ogni tanto e venderlo a chicchessià. Perchè, se l'attività è sporadica, per me quella rimane una persona che ha fotografato qualcosa per i motivi suoi, un fotografo in quel momento, certo, magari la sua foto potrà piacermi, magari la verdò pubblicata e ne gioirò, ma non lo considererò ovviamente un professionista. Nè ci vedo niente di male se gli capitasse di arrotondare perchè ha fatto una bella foto che altri non sono riusciti a fare. Sarà poi chi la compra a dover valutare.
Questo processo è gestibile attraverso la cultura.
Un foto-amatore può tirar fuori un progetto molto migliore di un professionista, naturale, ma sarà uno che non si preoccuperà troppo di tutte queste valutazioni su cui noi ora stiamo dibattendo. Avrà la sua vita, noi la nostra e se siamo qui a parlarne vorremmo, immagino, possa continuare cosi!
Nel magico mondo della rete in cui si trova sempre un motivo per dire "sono d'accordo su tutto, MA...", invece sono effettivamente, interamente, completamente d'accordo, soprattutto sulla frase: "in soldoni io considero fotografi professionisti coloro i quali guadagnino (o ci provino) scattando fotografie e svolgendo attività ad esse affini pagando le tasse relative".
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