sabato 17 novembre 2012

Fotografia e Instagram. Prove di convivenza


 













Nel secondo trimestre del 2012 le vendite di smartphone hanno toccato i 153,6 milioni di unità (fonte Il Sole 24 Ore). E’ verosimile ritenere che al mondo esistano almeno 150 milioni di fotografi e che questi scattino immagini con uno smartphone. Parecchie immagini.
Sono un fotografo anch’io e da quando ho scoperto Instagram, l’applicazione gratuita che permette agli utenti di scattare foto su cui applicare filtri creativi, mi diverto a postare le immagini catturate con il mio I-Phone su Facebook e Twitter, scoprendo così un nuovo ambito espressivo.
Da professionista non mi sento particolarmente minacciato dal proliferare di questi nuovi strumenti di comunicazione visiva poiché ritengo che cambiando il mezzo attraverso cui è possibile registrare la realtà che ci circonda debba per forza cambiare anche la funzione che gli si attribuisce, e da questa il suo valore.

Essere costretti, navigando sul web, a sorbirsi un’infinità di “immagini spazzatura” è sicuramente noioso, fa infuriare parecchi colleghi, ma se si comincia a considerare Fotografia solo l’immagine concepita come tale, e non quella resa possibile esclusivamente perché il telefono delle persone è accidentalmente dotato di fotocamera, allora internet diventerà veramente un contenitore di qualità ai nostri occhi. Bisogna solo capire quali siano le caratteristiche che identifichino una fotografia degna di questo nome, ossia di scrittura con la luce, distinguendola da tutto il resto.

Vengono in soccorso, in una sorta di aiuto fisiologico nato dalle esigenze di utenti più sensibili, programmi che offrono un maggiore sviluppo del linguaggio fotografico e dei modi di esprimersi attraverso la fotografia, come Instagram appunto. La registrazione della scena che abbiamo davanti avviene alla stessa stregua di quella ottenuta utilizzando una fotocamera digitale nonostante la tecnologia rimanga piuttosto elementare. La grande differenza si manifesta nella capacità che uno strumento tascabile multiuso sembra aver avuto di avvicinare la nostra mente e il nostro occhio al vivere comune. Quelle stesse “piccolezze” quotidiane di fronte alle quali i fotografi difficilmente avrebbero concentrato la loro attenzione, ma che proprio in virtù della loro natura marginale sono a portata di un maneggevole obiettivo.  Sarebbe semplicemente opportuno considerare l’atto con cui fotografiamo un atteggiamento consapevole orientato alla volontà di comunicare qualcosa di specifico in modo efficace. 














Pensandoci bene anche 100 anni fa erano tutti potenziali fotografi, ma l’accesso alla professione presentava svariate barriere all’ingresso, sia in termini di costi, che di competenze, mantenendo la fotografia al riparo dal dilettantismo più sfrenato. L’avvento delle fotocamere 35 mm prima, e la rivoluzione del digitale poi, hanno creato, in periodi differenti, un vero e proprio boom di utenti. L’epoca della condivisione dei contenuti fotografici che stiamo attraversando è solo l’ultima fase. 
La realtà che viviamo ci presenta un mondo che cambia. Cambiano le regole. Internet ha reso possibile a chiunque di avvantaggiarsi degli stessi diritti riservati ai professionisti. Una piattaforma talmente democratica da diventare in questo modo anti-democratica: “una bella foto prima o poi ci riuscirà”. E’ quello che pensano molte persone,  “basta un click”, con la differenza che, nel provarci, obbligano tutta la loro cerchia di contatti e follower a seguirne i maldestri tentativi.
Una democrazia è gestibile attraverso la cultura e la consapevolezza. In Italia manca la cultura fotografica. Elevare la considerazione della fotografia ci porterà automaticamente a cestinare quella parte di produzione nata dalla convinzione che per realizzare una bella foto sia sufficiente alterare i colori, esasperare i contrasti, apporre una cornice effetto polaroid e generare decine di like. Ci porterà a considerare quelle immagini dei semplici incidenti di percorso necessari a una società che sta prendendo visivamente consapevolezza di sé. E comunque, guai se fossero tutti consapevoli. Sarebbe una gran noia!
Volendo spostare fugacemente l’attenzione sugli effetti che la popolarità di Instagram sta avendo sul mercato della fotografia, beh, chi ci vive in mezzo da professionista, sia esso documentarista, tecnico, artista, editore, giornalista, art director e così via, sa bene che le cose sono un tantino più complicate e le storture talmente profonde e paradossali che Instagram non può certo essere l’ultimo capro espiatorio in attesa della prossima scossa.

Utilizzare Instagram per realizzare fotografie non è stata per me una scelta di metodo, ma di reazione: sono interessato al momento da catturare e meno allo strumento. Un modo per evadere dalla routine della committenza che esige l’impiego di un’attrezzatura professionale capace di far fronte a molteplici situazioni particolari.
Ho scoperto che per un certo tipo di utilizzo, quello più estemporaneo, avere con me uno strumento che registrasse la realtà in qualsiasi momento, che consentisse una narrativa non programmata, era diventato fondamentale. La realtà che lo schermo del telefono mi restituiva era assolutamente diversa da quella che per lavoro o per ricerca avevo, fin da allora, affrontato. Ne sono nati luoghi caratterizzati dall’assenza quasi totale di elementi umani. Delle scenografie teatrali in cui l’osservatore è spinto a inserire una trasposizione di sé in una finestra sul reale, creata per ospitarne l’evasione. 

I nostri follower sembrano così essere diventati i veri destinatari di ciò che produciamo. Con la possibilità di condividere i contenuti, specie visivi, i social media hanno innescato nuovi bisogni in termini di ecomunicazione ed espressione. Tuttavia, l'intimità che la forma di queste immagini consente sembra venir compensata, fino a renderla vana, dall'impossibilità che queste parti del nostro ingegno restino, entro un certo limite, private. Devo condividere per affermare che ho un modo di vedere le cose. Devo mostrare che cosa vedo. In ogni momento. Ritengo che Instagram rappresenti un grande strumento, come numero di utenti quasi una rivoluzione, ma non può essere identificato a priori con la fotografia.

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