"L'ingresso di Chung King Mansions" 2012, Hong Kong. Ph. Milo Sciaky
Tra l'Inferno e il Purgatorio dio ha creato "Chung King Mansions".
Camminando per le strade fosforescenti dalle luci shoppingose di Nathan Road, "il miglio d'oro" di Hong Kong, a un certo punto si attraversano una cinquantina di metri in cui viene offerto di tutto: dagli abiti tagliati su misura, agli orologi falsi. Perfino alla cocaina se il disinvolto ambulante indiano ritiene che sia sufficientemente sicuro offrirla a quelli che possono tranquillamente sembrare giovani e innocui turisti.
Questa dimensione urbana tutta particolare e audace circonda il marciapiede difronte all'ingresso di quello che è stato soprannominato "il lato oscuro di Hong Kong": Chung King Mansions appunto.
Questo decrepito palazzone abitato da 4000 persone e 129 etnie giace paciarotto in mezzo alle boutiques delle grandi firme internazionali, accanto all'Holliday Inn e dall'altra parte della strada rispetto al celeberrimo ed esclusivo Hotel Peninsula, che ti accetta come ospite solo dopo aver valutato attentamente il tuo profilo in modo da assicurarsi una clientela di primissima scelta. Come con le bistecche.
Entrando per quell'ingresso dorato però "lasciate ogni speranza O voi che entrate!". E' probabilmente il palazzo più globalizzato al mondo e facilmente uno dei più decrepiti della città nonostante ne occupi il centro. Sbeffeggiandolo.
Chung King Mansions, con i suoi incessanti traffici di ogni cosa, persone comprese, è un modello di "low-end globalization" (Vd. Gordon Mathews, Ghetto at the centre of the world, Hong Kong University press, 2011) in cui si è formato un substrato economico, rigorosamente in contanti, che collega Jakarta con Nuova Delhi. Manila con Nairobi e così via. Telefonini che un Giamaicano acquista da un Pakistano (che spesso non si sopportano) in qualcuno dei 140 negozi al piano terra, rivende a dei Malesi all'uscita sul vicolo prima di usare quei soldi per muovere qualche altra merce o mandarne una parte al paese natale. Il tutto a una velocità incredibile. E' il modo per restare a galla. Il modo per queste persone di non venire inghiottiti dal mondo ufficiale: crearsi un mondo loro, con le loro regole e con le loro reti.
Un motivo per addentrarsi in questa bolgia dall'intenso odore di curry è che si mangia un cibo indiano squisito. In un palazzo si mangia indiano? certo! In uno dei ristoranti allestiti nei deliziosi appartamentini senza finestre, uscite di sicurezza, sistemi di areazione, igienici e tutti quegli accorgimenti che servono a evitare di morire in caso di incendio.
Questi favolosi ristorantini sono accessibili tramite affollatissime ascensori, il cui traffico è regolato da una delle guardie che cercano di salvaguardare l'incolumità dei turisti dagli assalti selvaggi. Coloro che vinte le iniziali diffidenze decidono di avventurarsi non solo al pianterreno per comprare l'ultima imperdibile produzione Bollywoodiana su DVD, ma proprio ai piani, tra guest-houses con camere microscopiche da 8 dollari a notte e da chissà cos'altro, e appartamenti very cheap rispetto alla follia del real-esteate hongkonghese.
Il bassissimo costo delle abitazioni, e del cibo sono infatti uno dei motivi per cui Chung King Mansions può esistere in un posto come Hong Kong.
Un altro motivo risiede nella possibilità per i non appartenenti al così detto mondo sviluppato, di accedervi attraverso una finestra alla loro portata, non essendo necessario un visto per entrare come turisti in questa particolare regione autonoma della Cina. Da li poi è tutta questione di giocare le proprie carte.
Ci sono infatti possibilità molto migliori per un immigrato africano o del sud-est asiatico di trovare "asilo politico" clandestinamente in una delle stanze di Chung King Mansions, piuttosto che cercare ci confondersi tra i cinesi in qualche altra zona della città, e di inserirsi in questo particolarissimo ecosistema che è si a hong Kong, ma non gli appartiene.
Per le cose intelligenti scritte in questo articolo ho fatto riferimento a: Gordon Mathews, Ghetto at the centre of the world, Hong Kong University press, 2011
Un altro motivo risiede nella possibilità per i non appartenenti al così detto mondo sviluppato, di accedervi attraverso una finestra alla loro portata, non essendo necessario un visto per entrare come turisti in questa particolare regione autonoma della Cina. Da li poi è tutta questione di giocare le proprie carte.
Ci sono infatti possibilità molto migliori per un immigrato africano o del sud-est asiatico di trovare "asilo politico" clandestinamente in una delle stanze di Chung King Mansions, piuttosto che cercare ci confondersi tra i cinesi in qualche altra zona della città, e di inserirsi in questo particolarissimo ecosistema che è si a hong Kong, ma non gli appartiene.
Per le cose intelligenti scritte in questo articolo ho fatto riferimento a: Gordon Mathews, Ghetto at the centre of the world, Hong Kong University press, 2011
Nessun commento:
Posta un commento