lunedì 31 ottobre 2011

Cuba ricomincia dai giovani

                                       Skaters lungo il Malecon, il lungomare de L'Havana. giugno 2011 Ph. Milo Sciaky

 

Cammino svelto lungo il Malecon, il lungomare de L’Havana, cercando di sfruttare gli ultimi istanti di luce, quella calda prima del crepuscolo che ai fotografi tanto piace sfruttare per disegnare le loro immagini. La luce magica. C’è chi preferisce quella dell’alba, dalla tonalità più fredda, una luce blu, solitaria. Io personalmente prediligo quella calda e carica del vissuto della giornata che lentamente si abbassa strisciando sui muri delle case, sui campi, sullo specchio d’acqua del mare fino a svanire. Preferisco vagabondare fotocamera al collo durante questi momenti, gli ultimi prima che venga tutto avvolto dall’ombra, neutra e infotografabile, animato dal desiderio di fermare tutte quelle forme e armonie impreziosite dalla luce dorata, ansioso anche, impaziente di fare tutto prima che sia troppo tardi. Prima che diventi tutto buio.
L’isola cubana è così che si presenta ai miei occhi. Si adagia comoda all’interno di questa metafora: animata dal desiderio, ma ansiosa e impaziente, incredibilmente carica di energia. La Cuba come abbiamo imparato a conoscerla sotto Fidel Castro ha i giorni contati, come così pare anche il Lìder Màximo stesso; sta tramontando, e il cambiamento è nell’aria pronto a travolgere ogni cosa. E’ un cambiamento naturale, previsto e certo, deve solo aspettare il momento giusto per esplodere e avvolgere ogni cosa. Questo cambiamento comincia dai giovani.
In lontananza, ai piedi di un monumento rivoluzionario solido e fiero, scorgo una scena dai movimenti veloci e imprevedibili che ben conosco. Fatico a credere subito a ciò che sto osservando, ma dopo qualche metro ogni dubbio scompare rivelando nettamente un gruppo di Skaters (quelli che fanno acrobazie con lo Skateboard) impegnati nell’esecuzione delle loro spettacolari e precise manovre frutto di abilità estrema. Corro. Corro letteralmente verso di loro per non perdere l’occasione di immortalare l’insolito spettacolo. Chiedo scusa, uno spettacolo banale per ogni città del mondo, ma non certo per Cuba, la Corea del Nord, il Circolo polare Artico per ovvie ragioni e pochi altri luoghi. La tipologia umana che ho incontrato e avidamente fotografato è del tipo californiano, della California, il luogo sacro dello skateboarding, lo stato di un’America acerrima nemica del regime autoritario di stampo socialista cubano: giovani con magliettone e pantaloni di qualche taglia più grande della loro, cappellini con simboli di squadre di basket e football statunitensi e gesti da videoclip di MTV. L’ultima cosa che avrei pensato di vedere a L’Havana era proprio lo stereotipo del giovane americano. Segno che i tempi stanno cambiando molto in fretta, se lo ripetono stupiti i turisti dal primo giorno di permanenza sull’isola: vedere Cuba prima che cambi definitivamente è un imperativo, ma la realtà che avevo davanti mi stava urlando diritto in faccia che Cuba era già cambiata e che bastava guardare quei ragazzi e le loro evoluzioni per capire che Cuba è già cambiata. L’apertura, non è segnata dal Partito, non arriva dall’alto, ma comincia dal basso, senza clamore, senza la Rivoluzione attraverso cui i cubani sono già passati mezzo secolo fa trascinandosela stanca fino ad oggi. E’ la voglia della gente di essere libera di amare l’occidente se ne ha voglia o di odiarlo, di avere i mezzi e le informazioni per decidere insomma, se amare o odiare.
Cuba è aperta al turismo, l’Havana è una metà ambitissima per molti viaggiatori e i cubani hanno imparato a conoscerli, prima guardandoli con diffidenza, poi accettandoli, in alcuni casi a diventarne pure amici, a parlarci, a condividere racconti, regali, opinioni. A conoscersi. Ad amarsi o odiarsi quindi, e tutto sotto gli occhi di un regime stancamente attento o forse solo indifferente. Tanto ormai…

(articolo uscito sul bimestrale "L'Asolano" nov-dic 2011)

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