Cammino
svelto lungo il Malecon, il lungomare de L’Havana, cercando di sfruttare gli
ultimi istanti di luce, quella calda prima del crepuscolo che ai fotografi
tanto piace sfruttare per disegnare le loro immagini. La luce magica. C’è chi
preferisce quella dell’alba, dalla tonalità più fredda, una luce blu,
solitaria. Io personalmente prediligo quella calda e carica del vissuto della
giornata che lentamente si abbassa strisciando sui muri delle case, sui campi,
sullo specchio d’acqua del mare fino a svanire. Preferisco vagabondare fotocamera
al collo durante questi momenti, gli ultimi prima che venga tutto avvolto
dall’ombra, neutra e infotografabile, animato dal desiderio di fermare tutte
quelle forme e armonie impreziosite dalla luce dorata, ansioso anche, impaziente
di fare tutto prima che sia troppo tardi. Prima che diventi tutto buio.
L’isola
cubana è così che si presenta ai miei occhi. Si adagia comoda all’interno di
questa metafora: animata dal desiderio, ma ansiosa e impaziente,
incredibilmente carica di energia. La Cuba come abbiamo imparato a conoscerla
sotto Fidel Castro ha i giorni contati, come così pare anche il Lìder Màximo
stesso; sta tramontando, e il cambiamento è nell’aria pronto a travolgere ogni
cosa. E’ un cambiamento naturale, previsto e certo, deve solo aspettare il
momento giusto per esplodere e avvolgere ogni cosa. Questo cambiamento comincia
dai giovani.
In
lontananza, ai piedi di un monumento rivoluzionario solido e fiero, scorgo una
scena dai movimenti veloci e imprevedibili che ben conosco. Fatico a credere
subito a ciò che sto osservando, ma dopo qualche metro ogni dubbio scompare
rivelando nettamente un gruppo di Skaters (quelli che fanno acrobazie con lo
Skateboard) impegnati nell’esecuzione delle loro spettacolari e precise manovre
frutto di abilità estrema. Corro. Corro letteralmente verso di loro per non
perdere l’occasione di immortalare l’insolito spettacolo. Chiedo scusa, uno
spettacolo banale per ogni città del mondo, ma non certo per Cuba, la Corea del
Nord, il Circolo polare Artico per ovvie ragioni e pochi altri luoghi. La
tipologia umana che ho incontrato e avidamente fotografato è del tipo
californiano, della California, il luogo sacro dello skateboarding, lo stato di
un’America acerrima nemica del regime autoritario di stampo socialista cubano:
giovani con magliettone e pantaloni di qualche taglia più grande della loro,
cappellini con simboli di squadre di basket e football statunitensi e gesti da
videoclip di MTV. L’ultima cosa che avrei pensato di vedere a L’Havana era proprio
lo stereotipo del giovane americano. Segno che i tempi stanno cambiando molto
in fretta, se lo ripetono stupiti i turisti dal primo giorno di permanenza
sull’isola: vedere Cuba prima che cambi definitivamente è un imperativo, ma la
realtà che avevo davanti mi stava urlando diritto in faccia che Cuba era già
cambiata e che bastava guardare quei ragazzi e le loro evoluzioni per capire
che Cuba è già cambiata. L’apertura, non è segnata dal Partito, non arriva
dall’alto, ma comincia dal basso, senza clamore, senza la Rivoluzione
attraverso cui i cubani sono già passati mezzo secolo fa trascinandosela stanca
fino ad oggi. E’ la voglia della gente di essere libera di amare l’occidente se
ne ha voglia o di odiarlo, di avere i mezzi e le informazioni per decidere
insomma, se amare o odiare.
Cuba
è aperta al turismo, l’Havana è una metà ambitissima per molti viaggiatori e i
cubani hanno imparato a conoscerli, prima guardandoli con diffidenza, poi
accettandoli, in alcuni casi a diventarne pure amici, a parlarci, a condividere
racconti, regali, opinioni. A conoscersi. Ad amarsi o odiarsi quindi, e tutto
sotto gli occhi di un regime stancamente attento o forse solo indifferente. Tanto
ormai…
(articolo uscito sul bimestrale "L'Asolano" nov-dic 2011)
Nessun commento:
Posta un commento