venerdì 28 ottobre 2011

Compagnie pericolose

                                    Muammar Gheddafi e Silvio Berlusconi nel 2009 a Roma. Ph. Milo Sciaky


Quarant'anni di dittatura creativa sulla Libia finiti nel buco di un tunnel a Sirte, sua città natale. Il modo lo abbiamo visto tutti nelle immagini riprese con i telefonini intelligenti dai ribelli prima che questi lo giustiziassero. Indignazione generale incomprensibile. Ignoranza nel poter anche solo sorprendersi e rimproverare dei guerriglieri armati chissà come e addestrati chissà perchè di aver trattato come una bestia in autunno quello che dallo scoppio della Primavera Araba era diventato il Male assoluto, che tante sofferenze inflisse ai libici. Ribelli che hanno sfogato la loro sanguinaria euforia di esercito senza regole, gerarchie nè freni sociali politicamente corretti, facendosi riprendere dai media occidentali a pregare chini con la faccia rivolta alla terra Allah, per poi alzarsi pronunciando ancora parole di preghiera, raccattare le armi da fuoco posate al suolo e cominciare a sparare in aria, urlando, proiettili che poco dopo sarebbero caduti come pioggia di metallo da qualche parte ammazzando o ferendo qualcuno. Ma vabbè, tanto la rivoluzione giustifica anche i gesti più insensati.
Reo quindi per gli indignati il ventenne Ahmed, impugnante la pistola d'oro, conquistata sul campo durante la presa di Sirte, di aver crudelmente e a sangue freddo ucciso il Colonnello senza aver pensato di risparmiargli la vita affinchè la Corte dell'Aia potesse giudicarlo per i decenni di crimini commessi contro l'umanità. Inaudito, come avrà fatto a non considerarne la priorità sulla vendetta e sui riflettori?
Nel delirio totale del momento della caduta di Gheddafi, trascinato stordito in un macabro balletto dai ribelli, c'è anche stato tempo per un siparietto in cui il reporter francese della France Press ha avuto l'umile audacia di gridare ai 4 venti di aver fatto lo "scatto del secolo" consistente nella tempestiva riproduzione a mezzo fotografico delle immagini riprese tramite un telefonino da uno dei ribelli in cui scorrevano le immagini della cattura di Gheddafi. Il collega francese, ha definito la foto scattata allo schermo di uno smart-phone, un premio per essere stato nel "posto giusto al momento giusto". Porca miseria. Questione di momenti.
Dall'altra parte del Mediterraneo, invece, il Premier Italiano Silvio Berlusconi pare avesse ricevuto l'ultima accurata richiesta d'aiuto disperato "smetti i bombardamenti" dell'ex amico Rais nascosto sottoterra. Missiva, come da copione, trasmessa a Berlusconi dal direttore di un'agenzia di Hostess amico di entrambi, le stesse cerebrolese che in 500 erano accorse a presenziare durante il sermone sul Corano recitato dal dittatore libico quando nel 2009 venne invitato dal Premier italiano per un bucolico soggiorno romano; servito e riverito come un Ghandi nordafricano con tanto di tendone da circo a Villa Pamhpili.
Tutto questo avveniva prima del vertiginoso susseguirsi degli eventi che hanno dapprima incrinato e poi spezzato un'amicizia nata dagli interessi pteroliferi e cresciuta nella simpatia reciproca tra due uomini singolari, un tantino egocentrici e inclini al teatrino del surreale.
Quando un regime dittatoriale finisce spalanca le porte alla speranza, ma quando è un'amicizia a finire il vuoto è totale. Un vuoto che l'Italia sente fortissimo. Coraggio.

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