"Un giorno Pechino riconoscerà che in Tibet ci sono problemi, li affronterà e li risolverà. Io la aiuterò, perchè abbiamo lo stesso obiettivo: sviluppare il Tibet" Dalai Lama
Sul mio sito web di fotografo ho pubblicato un reportage sul 50° anniversario dell'esilio del popolo tibetano che ho realizzato nel Marzo 2009 nei campi profughi in India meridionale e nel villaggio di Dharamsala, luogo simbolo della cultura tibetana e residenza di Tenzin Gyatso AKA il XIV Dalai Lama. Già Dharamsala. E' bastata quella parolina a impedire al corrispondente del Corriere della Sera a Pechino, Marco Del Corona, di visitare il mio sito in occasione di un nostro imminente incontro nella capitale cinese. "sito web non raggiungibile". "ma come?" mi sono chiesto. E' stato Marco a dissipare i dubbi sul motivo domandandomi se nelle didascalie del mio lavoro fotografico comparissero per caso parole riferite al Tibet. "Dharamsala" evidentemente su un sito straniero non si poteva scrivere, pena l'oscuramento dello stesso. Mi sono sempre chiesto se considerato l'enorme numero della popolazione e la sovrabbondanza di offerta di lavoro in Cina, soprattutto nelle grandi città, ci fosse stato un hacker cinese a occuparsi della "pratica www.milosciaky.it" e a bollarla come potenzialmente sovversiva.
Quella di oggi è una storia di vendetta. Una vendetta consumatasi in pieno stile 21°secolo, quello dei social network. E' la vendetta degli enfent prodige di Google. E' la vendetta del popolo tibetano. E' la vendetta dello stesso Dalai Lama. E' la vendetta soprattutto di 404 milioni di utenti internet cinesi che grazie a Twitter per oltre un'ora hanno potuto intervistare il Dalai Lama, tornato in Cina (anche se solo virtualmente) per la prima volta da quando è dovuto fuggire in esilio 51 anni fa, il quale ieri, comodamente installato nella stanza 1014 del Loews Hotel di New York, immagino con la sua fanciullesca faccia sorridente, poco dopo le 8 di sera ha risposto a 10 delle 289 domande selzionate tramite una votazione in diretta tra le 1253 pervenute e inoltrate dall'applicazione Google moderator all'account newyorkese del dissidente Wang Lixiong, organizzatore della chat, disintegrando lo sbarramento degli Hacker di Pechino.
E' in questo modo che la massima autorità del buddhismo tibetano, attraverso l'account Twitter che ha aperto a Gennaio, è riuscito in un'impresa storica: quella di chattare con il popolo della rete cinese illustrando il suo pensiero proprio a una popolazione cresciuta nella disinformazione di regime, spiegando che la sua successione dipende solo dal popolo tibetano e che il problema con il Panchen Lama (allevato da Pechino come antagonista del Dalai) si porrà presto. Ha ripetuto di non essere animato da ambizioni personali e di occuparsi solo della spiritualità tibetana. Ha criticato la censura imposta dal governo cinese e le politiche di "sviluppo forzato" della regione Hymalayana, negando il rischio di una "pulizia etnica" anticinese nel caso venisse riconosciuta l'autonomia del Tibet.
Internauti entusiasti. Il governo Cinese non si è pronunciato, almeno per adesso.
Fonti: "Corriere della Sera", "Repubblica.it"
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