Fabio Polenghi in una foto fornitami a beneficio di diffusione dalla sorella Isabella
Fabio è stato ucciso ieri a Bangkok. Si trovava in Thailandia per documentare, in qualità di fotoreporter, la resistenza delle "camicie rosse" fedeli all'ex premier populista in esilio Thaksin Shinawatra che dal 12 Marzo occupano il centro della capitale in una protesta antigovernativa a oltranza. Protesta che è a più riprese sfociata in aspri combattimenti contro l'esercito, giorno dopo giorno sempre più a ridosso dell'accampamento dei ribelli. Un avvicinamento che ieri mattina si è trasformato in una vera e propria "offensiva finale" causando 6 morti (70 dall'inizio degli scontri) tra cui il fotografo milanese. Poche ore dopo, la resa dei leader dell'opposizione.
Le immagini televisive che si susseguiranno durante il corso di tutta la giornata mostreranno i drammatici momenti dei soccorsi a Fabio da parte di altri colleghi fotoreporter presenti sul campo, accorsi per cercare di impedire quello che sarà poi il tragico epilogo del suo servizio sui fatti thailandesi. Il corpo di Fabio, raccolto da terra, trasportato a fatica per alcuni metri per poi essere caricato su una moto, quindi incastrato in mezzo a due persone affinchè non cada, e la disperata corsa in ospedale che una foto dell'agenzia Epa ha sintetizzato per noi nell'espressione del conducente: allucinata dalla tensione, mentre, il busto sporto sul manubrio, si fa strada tra la folla per raggiungere la struttura sanitaria il prima possibile.
Qui altre immagini, quelle forse più forti: il corpo, probabilmente già senza vita caricato su una barella, tutto intorno, telecamere e macchine fotografiche alla mano, gli altri operatori dell'informazione, molti, a riprendere un collega che non ce l'ha fatta, un collega più sfortunato, ma che sarebbe potuto essere uno qualsiasi di loro; i nostri occhi sono come impazziti difronte al cocktail di immagini che non ci da tregua, impedendoci di riflettere un istante e di decidere se continuare ad aggredire sbigottiti lo schermo o distogliere lo sguardo per pietà o rispetto. Siamo proiettati di nuovo in mezzo alla folla, in direzione delle loro forsennate inquadrature, e proprio li, immobile, casco blu con scritta gialla "press", Fabio, gli occhi sgranati per metà coperti da quel dannato casco nella fotografia di un reporter della Reuters.
Intanto le immagini dell'emittente locale sono ancora quelle della fase di soccorso. E mentre le tragiche sequenze si susseguono, in un piccolo riquadro in basso a destra dello schermo un tizio gesticola, racconta anche lui con il suo linguaggio per i telespettatori sordomuti, come se ci fosse bisogno di spiegare una morte che per noi non ha più segreti. La morte di chi era li per raccontare, ma che si è trasformato in protagonista. La morte da tutte le angolazioni possibili. Tutte angolazioni necessarie e indispensabili.
Dall'inizio del 2010 i reporter uccisi nelle zone di guerra sono stati 12.
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